C’è una violenza che si vede: i lividi sul braccio, il labbro spaccato, l’occhio gonfio. E poi c’è quella che non si vede: la paura che ti blocca la gola quando pensi di parlare, la vergogna che ti tiene inchiodata al silenzio, il terrore di non essere creduta.
Una donna che non denuncia non è complice. Non è debole. Non è stupida. È vittima due volte: della violenza che subisce e del sistema che non la protegge abbastanza da farle credere che denunciare serva davvero a qualcosa.
Perché denunciare significa esporsi. Significa raccontare a uno sconosciuto in divisa i dettagli più intimi e umilianti della propria vita. Significa metterci la faccia, il nome, la storia. Significa rischiare che lui lo sappia, che si vendichi, che torni. Significa affrontare un sistema giudiziario lento, farraginoso, spesso sordo. Significa sentirsi chiedere: “Ma sei sicura? Ma cosa hai fatto tu? Ma perché non te ne sei andata prima?”
Come se fosse facile. Come se bastasse una denuncia per essere al sicuro. Come se i fogli di via funzionassero sempre. Come se i centri antiviolenza non fossero pieni, sottofinanziati, spesso troppo lontani. Come se denunciare non significasse, a volte, perdere tutto: la casa, i figli, il lavoro, la stabilità economica.
E allora si resta. Si spera che passi. Si pensa: forse cambia, forse è stata l’ultima volta, forse esagero. Si minimizza. Si giustifica. Si sopravvive.
Ma il silenzio non protegge. Il silenzio consuma. Il silenzio uccide due volte: prima l’anima, poi il corpo.
Perché ogni donna che non denuncia lo fa per paura. Paura di non essere creduta. Paura di essere giudicata. Paura che nessuno faccia abbastanza. Paura che la violenza aumenti invece di finire. Paura che i figli soffrano. Paura di restare sola. Paura di morire.
E non è colpa sua. Non lo è mai stata.
La colpa è di una società che ancora chiede alle vittime di giustificarsi. Di un sistema che promette protezione e poi lascia le donne sole davanti alla porta di casa con un foglio in mano e lui dall’altra parte. Di una cultura che preferisce dubitare di lei piuttosto che credere alla sua parola. Di un mondo che insegna alle bambine a difendersi invece che ai bambini a non attaccare.
Una donna che non denuncia è una donna che ha paura. E la paura è legittima. Perché troppo spesso denunciare non basta. Troppo spesso il sistema non regge. Troppo spesso si muore lo stesso.
Ma il silenzio non può essere l’unica alternativa. Non può essere la scelta obbligata. Deve esistere un modo per parlare senza morire. Deve esistere un sistema che ascolta, crede, protegge. Deve esistere una rete che tiene.
Perché ogni donna che non denuncia porta dentro una violenza doppia: quella che ha subito e quella che subisce ogni volta che si sente dire “perché non hai parlato prima?”
La risposta è semplice: perché nessuno le ha fatto credere che parlare servisse a salvarla.
E fino a quando sarà così, il silenzio continuerà a uccidere. Due volte.


