Il nuovo capitolo del Marvel Cinematic Universe sorprende con una squadra di antieroi, un tono maturo e una riflessione profonda sui traumi e la salute mentale. Niente battaglie finali spettacolari, ma tanta introspezione e un villain che si combatte con l’empatia.
Chi si aspettava l’ennesimo blockbuster fracassone resterà spiazzato: Thunderbolts* è il film Marvel più intimo mai realizzato. Diretto da Jake Schreier e scritto da Eric Pearson insieme a Joanna Calo, il film rappresenta il capitolo finale della Fase 5.
A mettersi insieme non sono eroi in cerca di gloria, ma outsider segnati dalla vita: Yelena Belova, Bucky Barnes, John Walker, Red Guardian, Ghost, Taskmaster, tutti arruolati da Valentina Allegra de Fontaine per missioni sporche e senza riconoscimenti. Ma il vero nodo narrativo è Bob, alias Sentry, interpretato da un sorprendente Lewis Pullman: un superuomo schiacciato da disturbi mentali e da una doppia personalità devastante, il Void.
La trama si muove su un doppio binario: da un lato la missione, dall’altro il tentativo di salvare Bob da sé stesso. Niente laser dal cielo o portali interdimensionali: il punto di svolta avviene in una stanza, con parole, silenzi, abbracci. È lì che si gioca la vera battaglia.
Florence Pugh, ormai cuore pulsante della nuova generazione Marvel, regala una Yelena intensa e vulnerabile. Ottime anche le performance di Sebastian Stan e David Harbour, che trovano spazio per far emergere sfumature emotive rare nel genere.
La regia di Schreier rinuncia agli effetti speciali eccessivi per concentrarsi sui volti, sui gesti, sulle cicatrici. Il risultato è un film adulto, che affronta traumi, solitudine, senso di colpa e possibilità di redenzione.
L’accoglienza è stata calorosa: 88% su Rotten Tomatoes e oltre 160 milioni di dollari incassati nel primo weekend. La scena post-credit rivela la futura identità del gruppo: non più Thunderbolts, ma Nuovi Vendicatori. E sullo sfondo, compare il logo dei Fantastici Quattro: il multiverso è più vicino di quanto sembri.


