1° agosto pioveva. Di domenica era. Maglia in lana e un pallon. E nasceva l’amor.
È cominciata così. Con una giornata storta e il cuore che invece andava dritto.
Io me la immagino proprio, quella scena. Uno che guarda il cielo, si tira su il colletto, dice “vabbè” e gioca lo stesso. Perché certe cose nascono anche se non è il momento giusto.
Anzi: proprio perché non lo è.
Il Napoli non è nato per vincere. È nato per resistere.
Per rappresentarci quando ci cancellano. Per dirci che esistiamo, che siamo belli anche quando ci chiamano colerosi, sporchi, esagerati.
Per darci un motivo per piangere, per ridere, per tornare a casa col cuore a pezzi o col petto pieno d’orgoglio.
La mia Lei è del 1926.
Sì, proprio lei. Una che ha visto tutto e ancora cammina con fierezza.
Quante volte m’ha fatto male. Quante volte ho detto: “basta, mo nun ce vaco cchiù”.
Poi però la domenica arriva, e io sto là.
Sempre là.
Che piove, che c’è il sole, che ho problemi, che ho poco da campare… ma il Napoli non si discute.
Il Napoli si ama.
Anche quando ti strappa l’anima e te la restituisce a pezzi.
E poi succede l’incredibile.
Succede che vinciamo il quarto scudetto.
Succede che la città esplode, ma stavolta per gioia vera.
Succede che non è una favola. È la realtà.
Con Di Lorenzo che alza quella coppa e sembra quasi imbarazzato, come uno che non si sente un re ma lo diventa lo stesso.
Con Conte che è arrivato col sangue negli occhi e i denti stretti. Uno che le guerre le ha fatte davvero. Uno che si sporca, come piacciono a noi.
E poi…
Poi ci portano pure Kevin De Bruyne.
Sì, proprio lui.
Ma tu lo immaginavi, uno così a Napoli?
Uno che ha i piedi come pennelli e ci guarda come se volesse capire cosa siamo.
E noi glielo diremo, piano piano: siamo cuore, ossessione, speranza.
Siamo capaci di portarti in cielo, e pure di farti scendere giù. Ma non ti lasceremo mai solo.
E ci stanno pure McTominay, che corre come se gliel’avessero promesso a sua madre, e Lukaku, che all’inizio sembrava solo uno che spingeva, uno da area di rigore e spalle larghe. Ma poi ha cominciato a segnare quelli pesanti, quelli che ti fanno urlare fino a perdere la voce. Non ha parlato, non ha fatto sceneggiate. Si è caricato tutto addosso, come fanno quelli veri. E lo scudetto, alla fine, ce l’ha portato anche lui.
E poi c’è sempre lui, Aurelio De Laurentiis.
Lo abbiamo odiato, lo abbiamo criticato, lo abbiamo ringraziato.
Come si fa con un padre che ti fa crescere, anche se non lo fa nel modo che vorresti.
Ma sta là.
E il Napoli con lui è tornato grande.
Pure se ci ha fatto venì l’ulcera.
Novantanove anni.
E ancora ci tremano le mani quando parte l’inno.
E ancora ci viene da piangere quando segniamo al novantesimo.
E ancora ci stringiamo forte, che sia in curva, in salotto, davanti a ‘na radio scassata.
Io non lo so spiegare, sai?
Ma senza ‘o Napoli, io nun so campà.
La mia Lei è del 1926.
E anche se a volte è difficile, anche se non la capisco, anche se mi fa incazzare, non smetto mai di amarla.
Perché ‘sta squadra, in fondo, è Napoli stessa.
Bella, storta, rumorosa, generosa.
Che se ti prende, nun te lascia cchiù.
E allora buon compleanno, amore mio.
Sei vecchia, sei giovane, sei viva.
Sei sempre la stessa, e ogni anno diversa.
E io sto ancora qua.
A piangere per te.
A vivere per te.
Perché tu sei Napoli.
E io so’ napulitano.
E questo, in fondo, è l’unico giuramento che non ho mai tradito.


