Sua madre scappava dalla guerra. Achalla Opiew è fuggita dal Sud Sudan con i figli, tribù Anuak, e ha attraversato il confine. Awar è nata in un campo profughi a Pinyudo, in Etiopia. Tra tende, polvere e paura.
Poi il Canada. Moose Jaw, Saskatchewan. Un posto dove le famiglie nere si contavano sulle dita. Awar è cresciuta sentendosi sbagliata. Troppo alta, troppo magra, troppo diversa. Ha detto: “Non mi vedevo bella”. E non immaginava che un giorno avrebbe chiuso la sfilata più importante al mondo.
Lavorava da Old Navy. Qualcuno l’ha notata. Le ha detto: “Prova”. Lei ha provato.
Il 6 ottobre 2025, al Grand Palais di Parigi, Awar Odhiang ha chiuso la prima sfilata di Matthieu Blazy per Chanel. Gonna di piume multicolore, sorriso che non chiedeva permesso. Ha applaudito, ha girato su se stessa, è corsa ad abbracciarlo. Il video è diventato virale in poche ore. Non per l’abito. Per la gioia.
È la terza modella nera a chiudere una sfilata Chanel in 115 anni di storia. Prima di lei Alek Wek nel 2004, Adut Akech nel 2018. Ma questa volta il mondo non ha visto solo un traguardo. Ha visto una persona.
Matthieu Blazy, poco prima, le aveva detto: “Questo è il tuo momento. Fai quello che senti”. E lei lo ha fatto. Ha portato sulla passerella tutto: sua madre in fuga, il campo dove è nata, la bambina che si sentiva fuori posto. Non come simbolo. Come vita vera.
Awar lavora ancora per progetti umanitari in Sud Sudan insieme a suo padre. Non ha dimenticato. Non può. È scritta nel corpo, quella strada.
Quel momento in passerella non era previsto. Il mondo se n’è accorto subito. Un sorriso vero fa rumore in mezzo a tanta perfezione costruita.
Il video continua a girare. Ma quello che resta è altro. È sapere che si può nascere in un campo profughi e chiudere la sfilata più attesa dell’anno. Non perché “tutto è possibile se ci credi”. Ma perché Awar ha camminato ogni metro di quella strada. E adesso quella strada è sua.


