C’è una voce che ti dice di restare fermo. Di non esporsi. Di aspettare ancora un po’. È la prudenza, o almeno così si chiama. Ma a volte sembra solo paura travestita.
Nei Reels di Instagram cresce un format fstto di frasi bianche su sfondi sfocati, occhi che guardano altrove, movimenti rallentati. “Il cuore sa ma la mente lo zittisce.” Oppure: “Cosa ti trattiene?” Sono domande semplici, ma che restano sotto pelle.
Viviamo in una società che predica l’azione ma premia l’attesa. Che ti incoraggia a cambiare, ma poi ti chiede garanzie prima di ogni passo. Così, per non sbagliare, non scegliamo. Per non perdere, non rischiamo. Ma restare fermi è già una forma di perdita. Invisibile, ma costante.
Ci siamo convinti che evitare il danno sia un obiettivo nobile. E invece spesso è un modo elegante di chiamare la rinuncia. Rinunciamo a dire “ti amo” per non scoprirci soli. A fare quel viaggio per non sentirci fuori posto. A cambiare lavoro, città, prospettiva, per non deludere aspettative altrui.
E intanto la vita passa. Come quei video muti che scorrono nel feed e poi spariscono.
La verità è che non esiste scelta senza conseguenze. E che non scegliere, a volte, è il danno più grande.
La prudenza, quando si fa sistema, anestetizza. Non protegge, paralizza.
Ci vuole più coraggio a essere felici che a essere sicuri.
Allora prova a chiedertelo davvero, oggi:
Cosa ti trattiene?