Una finale dei Mondiali del 1998. Quattro amici — Yuval, Churchill, Amichai e Ofir — insieme per quel rito, scrivono tre desideri e li sigillano, da riaprire solo nel 2002. Le partite scorrono, le vite cambiano, e quei desideri diventano fili invisibili tra chi resta e chi si perde.
Nevo scrive piano, senza clamore. Non c’è l’epica, non ci sono drammi urlati. Solo l’idea che vivere significhi confrontarsi con l’amicizia, il tradimento, la distanza e la speranza. E soprattutto: accorgersi che — tanto spesso — realizziamo i desideri degli altri, prima dei nostri.
C’è Haifa, Tel Aviv, un filo sottile di guerra e normalità. Ma non è un romanzo politico: è una fotografia in controluce di cuori lucidi e impauriti. È la vita che succede mentre credi di scegliere, e poi scopri che a volte ti sei solo lasciato guidare.
La voce di Nevo è gentile, ma non per questo debole. Si lascia squarciare da tradimenti, perdite, scelte sbagliate. Eppure l’amicizia resta, morbida ma incrollabile. Un’amicizia che resiste alle promesse non espresse, all’esilio dello sguardo.
Leggerlo vuol dire accettare un tempo incerto, fatto di attese, paure e piccoli trionfi quotidiani. Non c’è redenzione spettacolare, ma qualche pagina basta a farti chiedere: “Quali desideri ho accantonato per non ferire gli altri?”. E se, davvero, quelli siano ancora i tuoi.