Alla IV Municipalità di Napoli, un consigliere municipale ha trasmesso alla presidente Maria Caniglia una comunicazione scritta per giustificare la propria assenza alla seduta del primo agosto.
Fin qui, nulla di strano.
Ma in quella comunicazione ha espresso disappunto per la convocazione, criticando – tra le righe – la sua “condizione personale”, descrivendola come una donna “senza doveri verso i figli”, a differenza di altri componenti del consiglio.
E lì si ferma tutto.
Perché è una frase che pesa più del silenzio.
Come se per essere donna, oggi, dovessi avere figli.
Come se, se non li hai, il tuo tempo valesse meno.
Come se l’unico modo per giustificare la tua esistenza fosse riempirti di doveri privati, così da non disturbare troppo in pubblico.
E invece quella donna lì, ogni giorno, esce di casa la mattina presto e rientra che è già notte.
Non fa storie, non cerca applausi.
Rinuncia alla sua vita personale per portare avanti un progetto che riguarda tutti.
E quando rientra a casa, magari è distrutta.
E magari si sente anche in colpa, perché ha trascurato i suoi cari, ha rimandato un caffè con un’amica, una chiamata, una cena.
Ha detto “dopo” troppe volte.
Ma quel dopo non arriva mai, perché c’è sempre qualcosa da fare per gli altri.
E poi arriva lui.
Un uomo che siede in consiglio grazie ai voti della gente.
E dice che ad agosto no. Non si lavora.
Che lui non ce la fa, che non è il momento.
Ma il punto è proprio questo:
lei lo fa anche per lui. Anche per chi scappa. Per chi si defila. Per chi trova sempre un motivo per non esserci.
E non è una questione politica, non è nemmeno solo questione di genere.
È questione di rispetto.
Di dignità.
Quel commento ha offeso tutte le donne che ogni giorno tengono in piedi pezzi di città, sacrificando se stesse, in silenzio.
Ha umiliato chi lavora con amore, ma torna a casa con il cuore mezzo vuoto perché ha lasciato indietro qualcosa o qualcuno.
Ha detto – senza dirlo – che il lavoro delle donne conta solo se resta dentro certi confini.
E che fuori da quei confini, diventano scomode.
E allora sì, stavolta il problema non è il caldo.
Il problema è chi pensa che il caldo sia una scusa.
Il problema è chi confonde l’istituzione con un salotto.
Il problema è chi non sa reggere nemmeno la fatica di un giorno, mentre altri reggono intere responsabilità da mesi, da anni, senza lamentarsi mai.
Il primo agosto non è una data.
È una prova.
E stavolta, c’è chi non l’ha superata.