BIANCANEVE E IL REVISIONISMO WOKE

Negli ultimi anni, il termine woke ha smesso di essere una semplice espressione legata alla consapevolezza delle ingiustizie sociali per trasformarsi in un’arma ideologica. Oggi, la cosiddetta “cultura woke” è un movimento che pretende di riscrivere la storia, l’arte e la cultura attraverso la lente dell’attivismo contemporaneo, con l’obiettivo di eliminare tutto ciò che non si allinea ai nuovi dogmi del politicamente corretto.

Il fenomeno nasce nelle università americane, si diffonde nei media e nelle grandi aziende dell’intrattenimento fino a diventare un vero e proprio codice morale imposto dall’alto. Qualsiasi opera del passato viene passata al setaccio per verificare la sua conformità agli standard attuali: se un film o una fiaba contengono elementi oggi considerati “problematici”, vengono censurati, riscritti o addirittura eliminati. Il risultato è un processo di revisione culturale che sfocia nel ridicolo, cancellando intere pagine di storia e trasformando l’intrattenimento in un veicolo di propaganda.

Il nuovo Biancaneve live-action, in uscita il 20 marzo nelle sale italiane, è l’ennesimo esperimento di ingegneria culturale di Hollywood.

Il risultato? Polemiche infinite, critiche feroci e un’atmosfera di nervosismo palpabile, tanto che Disney ha pensato bene di organizzare un’anteprima a porte chiuse, senza giornalisti impiccioni a infastidire con domande scomode.

Nonostante questo, i primi commenti parlano di un film “visivamente affascinante”. Ma riuscirà il pubblico a ignorare l’ennesima riscrittura forzata di un’icona della cultura popolare?

Il primo scivolone risale al 2021, quando Disney annuncia che a interpretare Biancaneve sarà Rachel Zegler, attrice di origini colombiane. Ora, non è questione di razzismo, ma se persino il nome del personaggio richiama la sua caratteristica principale, forse una scelta più coerente sarebbe stata gradita. Ma no, Hollywood oggi non sceglie in base alla fedeltà alla storia, bensì in base alla checklist dell’inclusività forzata.

A rincarare la dose ci ha pensato la stessa Zegler, che ha definito la fiaba originale “sessista” e il principe un “tipo che chiaramente le fa stalking”. Un capolavoro di retorica woke: si prende una storia e la si rilegge con le lenti distorte dell’attivismo contemporaneo, trasformandola in qualcosa di irriconoscibile. Addio fiaba romantica, benvenuta Biancaneve guerriera, indipendente, determinata, tutto fuorché il personaggio che per generazioni ha incantato il pubblico.

Ma non finisce qui. A gennaio 2022, Peter Dinklage, attore affetto da nanismo, si scaglia contro il film, definendolo “retrogrado” e criticando la rappresentazione “infantilizzante” dei Sette Nani. Apriti cielo. Disney corre ai ripari e annuncia un “approccio moderno”, arrivando persino a sperimentare un cast con personaggi di varie altezze ed etnie.

Alla fine, la produzione ha optato per un compromesso: nani sì, ma in CGI. Risultato? Scontenti tutti.

Come se non bastasse la confusione narrativa, Biancaneve è finito nel tritacarne della guerra culturale e politica. Gal Gadot, interprete della Regina Cattiva, è israeliana e attivista pro-Israele. Rachel Zegler, invece, si è dichiarata apertamente pro-Palestina. Un bel pasticcio per Disney, che si è trovata con due protagoniste in aperto contrasto ideologico, con il rischio di trasformare ogni conferenza stampa in un dibattito internazionale. Il tutto condito da vecchi tweet della Zegler contro Trump e i suoi sostenitori, con l’inevitabile effetto boomerang che ha alienato una fetta di pubblico.

Quello che Disney non capisce (o finge di non capire) è che la gente non vuole vedere film trasformati in manifesti ideologici. Le fiabe funzionano da secoli perché raccontano archetipi universali, non perché rispondono ai diktat del momento. Ma nel nuovo corso woke, tutto ciò che è passato va riscritto, ogni valore tradizionale deve essere decostruito, e se qualche bambino si chiede perché la sua Biancaneve d’infanzia non esiste più, pazienza.

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