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West Side Story torna a Roma e non è quello che ricordi

Stasera alle Terme di Caracalla debutterà “West Side Story” e c’è una buona possibilità che non sia quello che vi aspettate. Regia di Massimo Romeo Piparo, che ha riscritto l’adattamento italiano puntando dritto sulla contemporaneità del conflitto sociale. Perché questo musical, nato nel 1957, ha ancora molto da dire sul mondo di oggi.

La storia la conosciamo tutti: New York, anni ’50, due gang rivali, amore impossibile tra Tony e Maria. Ma Piparo ha fatto una cosa interessante: ha smesso di guardare a “West Side Story” come a un pezzo da museo e ha iniziato a leggerlo come un racconto del presente. Le divisioni tra i Jets e gli Sharks non sono sparite dalla società americana, sono solo cambiate forma.

Le Terme di Caracalla diventano così la New York di oggi, dove i conflitti sociali, razziali ed economici continuano a spaccare le comunità. Dove l’amore può ancora essere pericoloso se scegli di amare la persona sbagliata, nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Non è solo nostalgia anni ’60. È uno specchio del presente che usa le canzoni di Leonard Bernstein e i testi di Stephen Sondheim per parlare di noi, di quello che stiamo vivendo ora. Perché i muri che dividono le persone non sono mai davvero caduti, hanno solo cambiato indirizzo.

Il musical, nella versione italiana di Piparo, mantiene la potenza emotiva dell’originale ma aggiunge qualcosa di nuovo: la consapevolezza che quei temi sono drammaticamente attuali. L’immigrazione, l’integrazione, il razzismo, la violenza urbana. Tutto quello che riempie le cronache di oggi era già lì, nella New York di Leonard Bernstein.

La scelta di portarlo a Caracalla non è casuale. Queste terme hanno ospitato nel corso degli anni spettacoli che hanno fatto la storia del teatro musicale italiano. Ma soprattutto, l’ambientazione archeologica crea un contrasto straniante che amplifica il messaggio dello spettacolo. La bellezza antica che fa da sfondo alla violenza contemporanea.

“West Side Story” funziona ancora perché racconta qualcosa di universale: come l’odio possa essere tramandato di generazione in generazione, e come l’amore possa essere l’unica cosa in grado di spezzare questo ciclo. Ma anche come, troppo spesso, l’amore non basti.

Piparo ha avuto il coraggio di non nascondersi dietro la nostalgia. Ha preso un classico e lo ha fatto parlare al presente. Il risultato è uno spettacolo che usa il musical per interrogarci su chi siamo e dove stiamo andando.

Perché alla fine, la domanda che pone “West Side Story” è sempre la stessa: quando smetteremo di aver paura di chi è diverso da noi? E la risposta, purtroppo, continua a essere la stessa: non ancora.

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