Fastobal scrive al femminile: perché il maschile non è l’unica voce possibile.

Quando l’emancipazione femminile diventa una gabbia per gli uomini

La violenza (?) sugli uomini è un tema ancora sommerso, zittito dalla vergogna e da secoli di narrazione univoca. Perché alcuni uomini oggi non riescono a chiedere aiuto? E cosa significa davvero emanciparsi, dopo millenni di dominio e colpa?

Parlare di violenza sugli uomini sembra quasi una provocazione. E invece è una realtà, solo più silenziosa, più impastata di vergogna e solitudine. In Italia, secondo l’Istat, migliaia di uomini ogni anno subiscono abusi psicologici, violenze fisiche, ricatti emotivi e violazioni della propria autonomia, spesso all’interno delle relazioni affettive. Ma pochissimi denunciano. Perché?

La risposta non sta solo nella paura di non essere creduti o nella vergogna di essere giudicati deboli. Sta in qualcosa di più profondo: l’incapacità, per molti uomini, di emanciparsi dall’emancipazione delle donne. Una formula paradossale, certo, ma che racconta bene il blocco identitario di chi è cresciuto con l’idea che il proprio genere debba espiare colpe storiche, senza avere il diritto di soffrire, di chiedere aiuto, di cadere.

C’è un senso diffuso, anche tra gli uomini, che parlare di violenza subita sia inopportuno. Che dopo secoli di dominio maschile, non si possa pretendere comprensione. Come se il dolore fosse una questione di numeri, di bilanci, di vendette da equilibrare. Ma il dolore non ha genere. E la violenza, da qualunque parte arrivi, resta violenza.

Chi subisce abusi in silenzio — per non “fare la figura del maschio fragile”, per non essere deriso dagli amici, per non essere visto come un traditore della causa femminile — vive una doppia prigione. Da una parte l’abuso subito, dall’altra l’impossibilità culturale di riconoscerlo come tale. Eppure il primo passo verso una vera parità non è nella competizione tra chi ha sofferto di più, ma nella possibilità di ascoltare ogni dolore senza gerarchie.

Emanciparsi, per un uomo oggi, significa anche questo: smettere di essere solo il figlio della colpa patriarcale, e diventare pienamente umano, vulnerabile, degno di cura. Uscire dal silenzio non significa oscurare le lotte delle donne, ma completarle, in un’alleanza nuova, dove tutti — proprio tutti — possano sentirsi visti.

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