Non vola subito.
Non salva il mondo in tre secondi.
E non è ancora sicuro di essere quello giusto.
Il nuovo Superman, in uscita il 9 luglio nei cinema italiani, è la prima vera incarnazione vulnerabile dell’eroe che abbiamo sempre chiamato invincibile. Lo dirige James Gunn, lo interpreta David Corenswet, ma il personaggio che vediamo non assomiglia a nessuno di quelli che lo hanno preceduto.
Non è l’alieno perfetto. È un uomo che cerca il proprio posto, in un mondo dove il bene non basta più.
Il film – primo capitolo ufficiale del nuovo DC Universe, intitolato semplicemente Superman – non è un reboot dell’ennesima origine, ma un punto intermedio: Clark Kent lavora già al Daily Planet, ha già salvato qualcuno, ma non sa ancora cosa significhi essere davvero un simbolo.
Gunn, che ha firmato la trilogia dei Guardiani della Galassia, qui cambia tono. Niente gag continue, ma una malinconia di fondo che accompagna tutta la storia. Ci sono scene d’azione, certo, ma sono solo intervalli tra domande più profonde: cosa resta di noi quando cerchiamo di essere qualcosa per gli altri? E cosa perdiamo, ogni volta che decidiamo di non ferire nessuno?
Accanto a Corenswet – sguardo inquieto e fisico classico – c’è Rachel Brosnahan nei panni di Lois Lane, determinata e dolcissima. Ma è la presenza di Nicholas Hoult come Lex Luthor a offrire il vero contraltare: meno supercriminale e più imprenditore lucido, quasi un riflesso spietato dell’America reale.
C’è anche Krypto, il cane spaziale. E sì, lo vediamo. Ma anche questa volta, Gunn lo usa per parlarci d’altro: fedeltà, perdita, silenzio.
Superman è un film di passaggio. Non pretende di dirci tutto. Ma ci prepara a un universo in cui i supereroi non risolvono, ma accompagnano. Non insegnano, ma si lasciano interrogare.
E in un tempo così fragile, forse è proprio questo l’eroe che ci serve: qualcuno che non ha tutte le risposte. Ma resta. E prova.


