Ogni anno, puntuale come la morte, torna il dibattito su Halloween. C’è chi insorge perché è una festa americana, importata, estranea. Come se le nostre tradizioni fossero fragili simulacri da proteggere dietro un vetro. Come se bastasse una zucca intagliata per farle crollare.
La verità è che mentre ci stracciamo le vesti per Halloween, viviamo immersi nell’americanità fino al collo. Guardiamo le loro serie tv, ascoltiamo la loro musica, mangiamo nei loro fast food, vestiamo i loro brand, pensiamo con le loro categorie. Ma Halloween no, quello è troppo. Quello offende. È un confine che non si può attraversare, dicono. Peccato che quel confine sia già crollato da decenni e nessuno se ne sia accorto.
Halloween viene dall’Irlanda, da Samhain, festa celtica della fine dell’estate. Gli irlandesi l’hanno portata in America, gli americani l’hanno trasformata in un colosso commerciale, e noi l’abbiamo importata. È un percorso culturale come mille altri. Eppure ci scandalizziamo. Come se la cultura fosse un’entità pura, immobile, sacra. Come se non fosse sempre stata un flusso, un contagio, un meticciato.
La cultura romana è durata più di mille anni proprio perché non costruiva muri culturali. Assorbiva, integrava, trasformava. Era un melting pot formidabile: religioni orientali, filosofie greche, divinità egizie, tutto confluiva in un organismo vivo e mutante. Non avevano paura della contaminazione. Sapevano che la forza stava nell’apertura, non nella chiusura.
Noi, eredi di Roma, oggi alziamo barricate simboliche contro una festa per bambini. Non proteggiamo le nostre tradizioni coltivandole, facendole vivere, rendendole significative. Le lasciamo morire di trascuratezza, e poi ci lamentiamo che arrivano quelle degli altri. È comodo. È ipocrita. È provinciale.
Siamo una colonia culturale, questo è il punto. Non perché celebriamo Halloween, ma perché non sappiamo più chi siamo. Non abbiamo il coraggio di essere contemporanei e italiani insieme. Preferiamo arroccarci su un passato immaginario, mentre il presente ci scorre accanto senza che lo tocchiamo.
A me basta che i bambini si divertano. Che si travestano, che bussino alle porte, che mangino caramelle. Che vivano la leggerezza che gli spetta. Il resto è rumore, paura travestita da orgoglio. E la paura, quella sì, è il vero nemico delle tradizioni.


